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L'ambiente che vogliamo

L'Ambiente che vogliamo

Lunedì, 02 Settembre 2019

La pizza margherita è più “eco-friendly” del fish&chips, della Pašticada croata e del cous cous di carne, ma meno dell’insalata nizzarda.
La battaglia per salvare il pianeta, si sa, passa anche dalla tavola: non è un mistero che alcuni cibi siano più sostenibili di altri, basti pensare che molti vegetariani hanno abbracciato questa scelta non solo per amore degli animali, ma anche per rispetto dell’ambiente. Ma a prescindere dalle scelte radicali, è possibile definire una “graduatoria” di piatti a basso impatto: la Fondazione Barilla ha provato a mapparli tra le specialità gastronomiche dei paesi più gettonati dai turisti italiani, affidando a ciascun piatto tipico un bollino colorato, dal verde al rosso.

Sulla via del cibo sostenibile, semaforo verde per la pizza, i felafel e l’insalata nizzarda. Per preparare la classica margherita, a base di mozzarella e pomodoro, servono infatti 412 litri d’acqua (moltissimi), ma “solo” 2,46 metri quadri di terreno, mentre i grammi di gas serra generati lungo le diverse fasi della filiera sono 652. Per i falafel, invece, servono 125 litri d’acqua, meno di un metro quadro di terreno e i grammi di gas serra prodotti sono circa 100. Ma il campione green è l’insalata nizzarda: un piatto tipico della cucina francese, leggerissimo e molto estivo. Si prepara con fagiolini e peperoni, ma anche tonno e uova. Una porzione da un etto incide sul pianeta con solo 64 grammi di Co2. È contrassegnata dal colore verde scuro, perché si trova nella zona più sostenibile della Piramide Ambientale. Tra i piatti analizzati, guadagnano il verde anche il cous cous di verdure, la moussaka greca e la paella valenciana.

Luce arancione, invece, per il conosciutissimo fish&chips, una delle specialità più amate dello street food inglese. Saporito, croccante e relativamente economico, purtroppo è più buono per il palato che per il pianeta: nella piramide si colloca più o meno nel centro. Rispetto alla pizza, per produrlo serve meno acqua, ma più terreno. Tutto sommato, dice la Fondazione Barilla, quella del Fish&chips è comunque una buona performance.  Sicuramente migliore rispetto a quelle delle pietanze tipiche del Portogallo, dove il baccalà è protagonista incontrastato di molti piatti iconici. Ma un etto di Pasteis de Bachalau (crocchette di baccalà) “costa” al pianeta 170 grammi di Co2, che diventano ben 250 nel caso di una porzione da 100 grammi di baccalà alla brace. In questa fascia si trova anche il cous cous nella sua variante marocchina, a base di carne.

La maglia nera (meglio, rossa), infine, spetta proprio ai piatti essenzialmente di carne. Tra questi, molte specialità croate: la Pašticada, ovvero uno dei piatti più famosi della Croazia dalmata, conquista la vetta della piramide ambientale, collocandosi tra i meno sostenibili in assoluto. È un piatto a base di carne di vitello e, per produrre una porzione da 100 grammi, servono più di 15 metri quadri di terreno e oltre 2.300 litri d’acqua. Il colore assegnato a questa ricetta è il rosso e la pone nella parte più alta della Piramide ambientale.
«Se guardiamo ai piatti tipici delle nazioni analizzate - conclude Katarzyna Dembska, ricercatrice BCFN -, non possiamo fare a meno di notare che quelli con un’impronta ecologica più alta sono anche quelli che prevedono l’uso di carne o di pesce. Sono i cibi che hanno il costo più alto in termini di quantità di gas serra emessi per la loro produzione. Oggi più che mai, serve un approccio diverso al cibo, al modo di produrlo e di consumarlo. Soprattutto se consideriamo che entro il 2050 si prevede un aumento dell'80% delle emissioni di gas serra derivanti dalla produzione alimentare».

Silvia Quaranta

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