Stiamo assistendo ad un déjà-vu, o è solo la semplice conferma che l’uomo non sempre impara dai propri errori?
Trentatré anni sono passati da quella maledetta notte dl 26 aprile 1986, da quel boato e da quel conseguente silenzio. Poche settimane sono passate dal lancio della serie tv che ha fatto il giro del mondo, raccontando i fatti di Chernobyl a gente che, fino a quel giorno, ne aveva sentito parlare solamente alla lontana. Eppure, a Severodvinsk è successo ciò che non doveva succedere. Ma proprio come in un déjà-vu il silenzio dopo i fatti è davvero assordante, fa quasi ribrezzo.
Per raccontare gli eventi del 1986, a Rovigo è stata aperta una mostra multisensoriale chiamata proprio “Il silenzio assordante di Chernobyl”, organizzata dall’associazione culturale “I luoghi dell’abbandono”, che da mesi gira l’Italia, e non solo, alla ricerca di tutti quei posti tristemente lasciati cadere in rovina.
All’Ex ospedale psichiatrico di Granzette si entra in un mondo quasi sconosciuto, dove bisogna riavvolgere il nastro ed immedesimarsi nell’orrore. Una mostra che inevitabilmente porta l’uomo a riflettere, perché in questi casi l’errore è umano e non si può attribuire alla malasorte o alla natura.
Conoscerete i fatti attraverso documenti, ascoltando audio e vedendo filmati originali, sentendo odori riprodotti tra gli oggetti di quel lontano, ma non troppo, 1986. Il concept dei I luoghi dell’abbandono è studiato attentamente, mantenendo tinte oscure per portare l’ospite in un viaggio introspettivo.
Per concludere il percorso conoscitivo dei fatti sovietici, l’associazione ha organizzato un viaggio proprio a Chernobyl per gennaio 2020, che ha riscosso molto successo e non è da escludere che possa essere riproposto in futuro. D’altronde, il fine era quello di informare, ponendo fine a quel maledetto silenzio assordante di Chernobyl, nella speranza che gli orrori del passato possano insegnare qualcosa, evitando errori nel futuro. Un sogno forse irrealizzabile.  

Federico Smania