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La giusta formazione

Storie di un comune centro educativo

Sabato, 20 Luglio 2019

Un variopinto mondo deviante.

«La costruzione della propria storia di vita non è solo una paziente pratica di tessitura di memorie lontane, ma anche un’azione creativa che può attingere dal passato per dare significato al presente» 
[Silvia Kanisza e Sergio Tramma]

Essere educatori professionisti, per certi versi, è una missione che esula dal mero lavoro, inteso come “attività retribuita”. E’ un vero e proprio stile di vita, e per molti è uno status assegnato.
Si entra in un universo lontano da ogni canone, e da qualunque stereotipo, per immergersi in un romanzo dai mille colori. Quindi, se in casa avete un figlio o una sorellina che improvvisa gesta stravaganti, ricordatevi che non è nulla in confronto a quanto potreste osservare in un centro educativo. 
Nella mia esperienza da volontario cominciata a fine 2017, ho vissuto al fianco di due brillanti educatrici che, nei limiti di un apparato burocratico restrittivo, hanno cercato quotidianamente di migliorare la vita di tanti giovani ragazzi, che hanno avuto la sfortuna di dover diventare grandi troppo presto. Fermiamoci un secondo, e proviamo a metterci nei panni di questi bambini (sì, sono ancora bambini).

Vi racconto qualche breve storia.
L. fa la terza media, non è un genio ma alla sufficienza ci arriva senza troppi affanni. Apparentemente non sembra esserci nulla di problematico, eppure L. nell’inverno 2018, non sa più leggere: è semi-analfabeta. La causa? Un divorzio shock, in cui ha visto i genitori arrivare alle mani. Per molti mesi si è isolato dal mondo, trascurandosi e definendosi “pazzo e emarginato”, ma con l’aiuto delle educatrici e delle compagne del Centro, ora si è reinserito e ha perfino una “fidanzata”.
V. va in seconda media, ha delle grosse difficoltà di apprendimento e, appena arrivata in Italia, ha conosciuto il più antico mestiere del mondo. La mamma, sola con due figli, che parla l’italiano a malapena, ha dovuto cedere e prostituirsi. Negli ultimi mesi V. è rimasta scossa e non vuole nemmeno essere sfiorata giocando a “prendi e scappa” da un ragazzo. Ora, grazie al supporto delle educatrici, degli psicologi e degli assistenti sociali, V. va pure in piscina e fa un corso di nuoto con tantissimi maschi.
Y. fa la prima superiore, ha un iPhone XR, paga l’abbonamento Netflix ed è un appassionato de La Casa di Carta. Suo fratello vive a Londra e lavora in un grattacielo da 70 piani, il padre è un manager e la madre casalinga.
Ecco, questa è la sua versione, la sua storia. C’è qualcosa di vero? No. Su di lui c’è ancora tanto da lavorare ma per ora è meglio “non svegliare il sonnambulo”, perché la realtà è fin troppo cruda.

Federico Smania

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