Un progetto oramai ultradecennale, realizzato dal Progetto Giovani di Padova, in collaborazione con l’Università, con la volontà di mettere in contatto giovani amanti dell’arte nelle sue diverse forme. 15 artisti under 35 vengono abbinati a 15 giovani studenti che vogliono approcciarsi al mondo della curatèla, nel laboratorio “Curare una mostra d’arte”.
Lo scopo è la realizzazione di tre mostre, che si svolgono nel giro di sei settimane, all’interno del Centro Universitario di via Zabarella a Padova. Nel primo gruppo ci sono Maria e Virginia, Maria è una giovane artista che studia all’Accademia di Belle Arti di Venezia; Virginia, invece, frequenta il terzo anno di DAMS. Abbiamo fatto due chiacchiere con entrambe, per sentire il racconto di questa esperienza che ha portato alla nascita della mostra denominata FEMMA.
Qual è stata la difficoltà principale nella realizzazione della mostra?
“La difficoltà principale è stata quella di realizzare, o meglio, di far adattare le opere allo spazio, quindi quella relativa all’allestimento. Non ci siamo trovate in uno spazio convenzionale, bensì in un centro universitario. Maria ha dovuto realizzare delle opere in base all’ambiente; non era prevista l’affissione di chiodi e di conseguenza ha creato dei quadri appositamente per quest’evento. L’altra difficoltà è stata quella di entrare in contatto con realtà artistiche differenti. Artisti e curatori hanno dovuto lavorare a stretto contatto per realizzare al meglio la mostra, far integrare i lavori all’interno dello spazio e farli interagire tra di loro”.
Che tipo di opere avete creato e raccontato?
“Nei lavori c’è una forte predominanza dell’ambiente, si distinguono delle ombre di figure umane, come se fossero dei fantasmi che entrano in contatto con questa natura imponente. La volontà è stata di far capire l’importanza della natura nell’esistenza e nella relazione con l’uomo”.
Virginia, quel è stato il tuo ruolo di curatrice e come ti sei relazionata a Maria e al suo lavoro?
“Come curatrice, il mio compito principale era quello di valorizzare al massimo il lavoro di Maria, creando le condizioni giuste perché potesse essere apprezzato dal pubblico. E’ stato fondamentale il dialogo con le altre curatrici, in modo che la mostra risultasse il più armonica possibile, senza che le varie opere entrassero in conflitto l’una con l’altra. Ho dovuto, inoltre, imparare a conoscere l’ambiente dell’Accademia, a cui prima non mi ero mai approcciata, per capire come Maria si fosse formata come artista; è stata importante la sua disponibilità a mostrarmi i suoi lavori, e a rispondere alle mie mille domande sul suo percorso, sulle sue fonti d’ispirazione e sui suoi obiettivi”.
Cosa sentite di aver imparato e guadagnato da questa esperienza?
“Di certo ci ha insegnato a lavorare in gruppo, e ad affrontare problematiche e difficoltà che spesso non vengono tenute in considerazione. La cosa importante era quella di essere presenti, collaborativi, soprattutto nei confronti del curatore, avere sempre un piano di riserva a disposizione. Nel mio caso – dice Maria -, ho dovuto esporre alla mia curatrice il mio lavoro, la mia poetica, in modo da farle comprendere quali fossero le fonti d’ispirazione, e poterla far avvicinare al mio mondo. Come curatrice, Virginia ha potuto entrare in contatto diretto con il mondo dell’arte contemporanea e i suoi meccanismi, difficili da comprendere quando si è soltanto spettatori”.
Federico Smania