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Il viaggio alternativo

Erice, la Sicilia nella nebbia

Lunedì, 01 Luglio 2019

Dici Sicilia e giustamente pensi al sole, anche perché in fondo è arrivata l’estate.
Così rimani un po’ perplesso, quando alzi lo sguardo al Monte Erice, e vedi che la cima è avvolta dalle nuvole. Magari sarà un caso, magari arrivi su e non ci sono più. Intanto iniziano i tornanti, e lo spettacolo va in scena oltre la pianura che hai lasciato alle tue spalle: la costa avanza regolare, poi sporge leggermente, infine curva platealmente e su quella piccola penisola troneggia il Monte Cofano, che non ha saputo aspettare l’entroterra, e ha deciso di svettare abbracciando il mare. Ricorda un Monte Isola più ripido e selvaggio, ma senza il lago d’Iseo attorno. Più si sale e più contempli il panorama, ma poi il bosco copre tutto, e la strada sbatte contro il piazzale del parcheggio. 

Ecco Erice, dunque. Le nuvole non si sono diradate e la salita continua a piedi oltre Porta Trapani, lungo una distesa di ciottoli fra quadrettoni lastricati. I “genovesi” nelle vetrine delle pasticcerie fanno venire l’acquolina in bocca, e non deluderanno. I colori dominanti sono il grigio e l’ocra, con i muri di pietra che proseguono oltre la fine delle case e trasmettono una sensazione di grande compattezza: se non fosse che, ogni tanto, ai lati si apre qualche varco, sembrerebbe di camminare in un blocco monolitico. Il cuore del paese è tutto in pendenza, come una schiena che ha i suoi fianchi nelle scalinate e nei vicoli in discesa. In pendenza è anche la piazza asimmetrica, quasi chiusa su tre lati dal municipio e dai ristoranti; prima e dopo tante comitive di turisti, e tanti negozi di souvenir. 

Nemmeno il tempo di passare in albergo per lasciare le valigie e con la sera scende anche la nebbia, mentre i turisti si dileguano. Erice è un paese medievale pieno di chiese e di conventi, magari trasformati in alberghi e sale conferenze ma pur sempre austeri; un «tempio incorrotto, di età pietrificate», per dirla col poeta Dino D’Erice. Così fa un certo effetto uscire con le luci dei lampioni affogate nella nebbia, tra rarissimi passanti solitari: sembra di stare nel Nome della Rosa, calati all’improvviso nel paesaggio delle pagine del libro. La nebbia non si limita a confondere i contorni e non svanisce nemmeno intorno al Giardino del Balio, anzi, è proprio qui che erige un muro bianco oltre il quale si nasconde il panorama. La mappa dice che lì sotto ci sarebbe la Torretta Pepoli, ma la sagoma è invisibile. E pure il Castello di Venere indossa i panni del fantasma. 

Uscendo dagli schemi dei turisti, il mistero s’infittisce. Ai bordi del paese svettano i ripetitori, simili ad alieni oltre i campanili. Sul muro di una casa spiccano tre manifesti sbrindellati, che riportano un’ordinanza del Governo Militare Alleato emessa il 20 luglio 1943 nel Comune di Crisafullo: il nome dato a Erice da Pif, che qui ha girato “In guerra per amore”. Durante il giorno la nebbia avvolge anche le cabine della funivia per Trapani, all’inizio della discesa e alla fine della salita. Ma la nebbia di Erice è un’abile scenografa, che sa farsi da parte per offrire scorci inaspettati. Così il sole fa capolino e il campanile obliquo dell’antica Chiesa Madre brilla d’oro.

Le strade tornano a riempirsi di turisti e di studenti, ospiti di quella gioiosa Babele che è l’Ettore Majorana Foundation and Centre for Scientific Culture. Il sole bacia anche il Monte Cofano, esaltando il blu e l’azzurro del suo feudo in lontananza. Ora Erice è un posto più gentile, fiabesco come la Torretta Pepoli, che finalmente si palesa ai piedi del Castello. La mappa non mentiva. 

Alessandro Macciò

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