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Campioni si diventa

Fairplay

Giovedì, 24 Ottobre 2019

Da sempre lo sport ha protetto e conservato, nella sua essenza, anche il principio comunemente denominato ‘fair play’. Declinato in diverse accezioni, quella legata al mondo dello sport, negli anni ha fatto plasmare veri e propri stili di vita, ognuno caratterizzato dalla comprensione dell’argomento. Il Fair Play insegna. Il Fair Play è un modo di pensare.
I più comuni esempi di fair play nello sport sono riportati dalla narrazione delle grandi gesta di sportivi nelle loro competizioni, tali da essere esaltate e tramandate nel tempo come un pregiato tesoro da custodire.
È proprio questo il Fair Play? È solo questo il Fair Play? Cosa si intente con questo termine?
L’enciclopedia Treccani lo definisce così: espressione che significa ‘gioco leale’, senza riserve e sotterfugi. Si adopera anche con valore più ampio, per indicare un comportamento corretto e improntato a gentilezza nei rapporti con gli altri.
Da qui si evince come il concetto di fair play sia ben più ampio di quello che comunemente siamo soliti affrontare, e che non si limita ad un’azione che in qualche modo compensi un’occasione sfortunata durante la competizione ma, piuttosto, l’assunzione coscienziosa di un atteggiamento nei propri confronti e nei confronti degli altri, che rispetti i sani principi di convivenza, di collaborazione, il rispetto della persona e dei contesti ad essa legati, e il rispetto delle regole. 
Il rugby, nonostante i pregiudizi ormai obsoleti, è ancora insignito del titolo di ‘sport dotato di maggior fair play’, probabilmente per la sua storicità e le leggende che ne accompagnano lo sviluppo, per l’integrità dei principi su cui si basano le sue regole, quelle scritte ma soprattutto quelle non scritte, che supportano l’etica comportamentale. 
Il rispetto dell’arbitro, il rispetto dell’avversario, il rispetto delle regole accompagnano, ancora oggi, i racconti e le recensioni che parlano di palla ovale. 
C’è una domanda alla quale per anni ho fatto fatica a rispondere: “Perché voi rugbisti non insegnate agli altri come ci si comporta?” 
Si parla spesso di “terzo tempo” e del “corridoio” che fanno le due squadre all’uscita del rettangolo di gioco, dopo che l’arbitro ha decretato la fine delle ostilità con i tre fischi finali. 
Personalmente sono convinto che gli usi e i costumi che caratterizzano ciascun contesto sportivo, siano propri di un’esperienza lunga e ponderata, osservata e verificata ogni giorno, e alimentata dalla cultura di chi ne ha vissuto i cambiamenti. 
L’idea di inserire riti di integrazione e di condivisione tra le squadre che si sono scontrate qualche decina di minuti prima, non rispetta sempre le tappe evolutive di ogni disciplina, al punto da snaturarne i principi, e alterarne le dinamiche relazionali. 
Sono del parere che il “copia-incolla” non dia gli effetti desiderati, e nemmeno generi fiducia e soddisfazione nella performance, bensì creai diffidenza e intolleranza nei confronti di chi è protagonista di quel particolare contesto. 
Siate dunque curiosi di ciò che avviene attorno a voi, e innovate l’ambito sportivo in cui vi esprimete. Riprodurre un modello proveniente da un altro sport, non sempre garantisce di massimizzare le performance e la soddisfazione della squadra.  

Mauro Bergamasco

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    Fairplay

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