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Un mondo parallelo nella città

Venerdì, 12 Luglio 2019

La Polisportiva Pallalpiede.
Con la palla...al piede, ci sanno fare eccome, tant’è vero che hanno appena vinto per la prima volta il campionato di Terza Categoria. Loro sono i giocatori della Polisportiva Pallalpiede, la squadra dei detenuti ristretti nel carcere Due Palazzi di Padova che, a fine giugno, hanno festeggiato l’impresa affrontando una rappresentativa di giornalisti e consiglieri comunali guidata da Diego Bonavina, assessore allo Sport ed ex calciatore del Padova. 
La Pallalpiede non può giocare in trasferta, quindi il raduno è davanti al Due Palazzi. A fare l’appello non è l’arbitro, ma un agente della polizia penitenziaria che raccoglie tutti i documenti della squadra ospite. Portafogli, chiavi e cellulari finiscono nel sacchetto degli oggetti “proibiti”, che verrà riaperto solo a fine partita. Neanche il tempo di attraversare il cortile del carcere e c’è subito un altro stop: bisogna far passare i borsoni nello scanner, e anche i famigliari che hanno finito la visita ai detenuti. 
Un altro cortile ed eccolo: quello del Due Palazzi sarebbe un campo come tanti altri, se non fosse per qualche dettaglio che assomiglia a un promemoria. Su due dei quattro lati, infatti, il terreno di gioco è delimitato da una cancellata, poi da una rete e infine dal muro di cinta, che conclude il triplo sbarramento e sfuma in lontananza, oltre i palazzi dei detenuti. In tribuna c’è solo una manciata di persone autorizzate, tra cui il presidente del Padova, Daniele Boscolo Meneguolo; la visuale migliore, però, ce l’ha l’agente che presidia la torretta di guardia. 
Oltre a rinfrescare l’aria, il temporale del mattino ha formato sei o sette pozze fantozziane, che rendono impraticabile una piccola porzione del campo. Poco male: foto di rito, scambio di medaglie, targa commemorativa, discorso dell’assessore, e si parte. Per la cronaca, la partita finirà 7-4 per la Pallalpiede: gli ospiti si fanno rimontare da 0-2 a 5-2, poi accorciano le distanze fino al 5-4 e infine incassano gli ultimi due gol. Prima della doccia c’è anche il terzo tempo, incentrato sulla merenda preparata dai detenuti della Pasticceria Giotto. 
La cosa più bella, però, è che come sempre il campo ha cancellato ogni differenza. Fedine penali, colori della pelle, titoli di studio, incarichi professionali: mentre quei 22 correvano dietro al pallone, è sparito tutto. Si è dissolto perfino il muro di cinta, come le pareti ne ‘Il cielo in una stanza’, di Gino Paoli. Niente più limitazioni e niente più pregiudizi, né da una parte né dall’altra. Solo un prorompente senso di libertà e un clima di sano agonismo, incarnati entrambi dalla voglia di correre, di aiutare i compagni, di misurarsi con gli avversari e con sé stessi, di superare i propri limiti. 
«Grazie a tutti voi che credete in noi», c’era scritto sulla torta del terzo tempo. «Grazie a voi», hanno ripetuto quelli della squadra ospite.

Alessandro Macciò

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