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Samos, buco nero d’Europa tra miseria e rinascita

Venerdì, 19 Luglio 2019

Samos, Grecia.
«Questa meravigliosa isola del Mar Egeo, terra natale di Pitagora ed Epicuro, è stata di recente definita il buco nero d’Europa. E qui di Europa, di quella sui cui principi fondamentali siamo cresciuti in tanti, c’è veramente ben poco».
A raccontare è Fausto Panizzolo, giovane ingegnere biomedico che, un paio d’anni fa, ha lasciato Harvard per tornare a casa, a Padova, e gettarsi anima e corpo in un nuovo progetto. Il mese scorso, però, ha interrotto i suoi impegni per qualche giorno per un viaggio a Samos, al fianco dell’associazione Still I Rise, fondata da Nicolò Govoni.
Lì, fuori da un disastrato campo profughi, l’associazione ha costruito una scuola, Mazì, che ospita bambini dagli 11 ai 18 anni. Si fa lezione, si mangia, si gioca. E si ritrova, per qualche ora al giorno, un po’ d’infanzia perduta.
«Appena dietro Vathi, il paese principale dell’isola» spiega Fausto «sono ammassati oltre 4mila profughi che scappano dalla guerra e dalle situazioni più disperate, che hanno lasciato e perso tutto quello che avevano. Alcuni di loro vivono uno sopra l’altro all’interno del campo che ha una
capacità di circa 650 posti, tutti gli altri nella “jungle” che sorge ai lati del campo ufficiale. Qui non hanno né acqua né elettricità. Alcuni hanno costruito dei rifugi con tende, plastica, legname e altri materiali di fortuna. Il caldo è asfissiante, e sono parcheggiati lì per mesi, in attesa di un
trasferimento o di un respingimento. Le parole e le immagini non riescono a rendere appieno l’idea di quello che ho visto lì».
Proprio nei giorni in cui Fausto era a Samos, l’associazione ha denunciato le autorità del campo per i soprusi (anche ai bambini) e per le condizioni in cui vengono detenuti le persone all’interno del campo.
Questo viaggio incredibile inizia, in realtà, su una poltroncina del Porto Astra, a Padova. Sul grande schermo Cafarnao, storia drammatica di un piccolo profugo libanese che decide di fare causa ai propri genitori per averlo messo al mondo. Fausto lo vede con un amico, poi torna a casa, ci pensa e ci ripensa. Alla fine, si mette al computer, cerca informazioni ed associazioni che si danno da fare per bambini come Zain, il piccolo protagonista del film. E così incontra Nicolò Govoni, un ragazzo di Cremona che ha fondato la onlus “Still I Rise”. Scrittore di talento, Nicolò è anche già al suo terzo libro: ogni pubblicazione è un racconto delle sue esperienze personali e il ricavato delle vendite serve a sostenere i progetti: l’ultimo, dopo il successo di “Bianco come Dio”, s’intitola “E se fosse tuo figlio?”, e servirò a finanziare una scuola per bambini profughi in Turchia. Scocca la scintilla. Fausto contatta l’associazione, si offre come volontario, gli viene proposto di arrivare come ospite speciale, e di raccontare la sua storia da inventore. Ed è una storia che vale: dopo la laurea in Ingegneria Biomedica a Padova, ha iniziato a girare il mondo, per sette anni. É stato in Australia, Canada e alla prestigiosissima università di Harvard. Per poi decidere di mettersi in proprio, e tornare a Padova. Qui ha fondato la sua startup, Moveo, per realizzare un “esoscheletro soft”, una sorta di tuta indossabile che agevola il movimento, per aiutare a camminare chi sta facendo riabilitazione. Fausto è un ragazzo brillante: i ragazzi di Still I Rise lo capiscono al volo e trovano la formula perfetta per il suo contributo.
«Probabilmente» racconta Fausto «metà di questi ragazzini è più intelligente e bravo di quello che ero io alla loro età, ma non ha mai avuto neppure un milionesimo delle opportunità che, senza alcun merito particolare, ho ricevuto in dono io. Loro, non ancora maggiorenni, hanno dovuto invece affrontare e vivere situazioni che dovrebbero essere risparmiate anche agli adulti. Alla fine di una lezione, un 17enne che vive nel campo da mesi, mi si è avvicinato e mi ha detto: “Voglio diventare un inventore. Voglio diventare come te. Cosa devo fare?”. E allora» conclude «se anche uno solo di questi bambini tra qualche anno diventerà un ingegnere, o più semplicemente tramite gli studi riuscirà ad avere quello che desidera dalla vita, credo di aver speso il mio tempo nel miglior modo possibile».

Silvia Quaranta

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